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“Qui è altrove: buchi nella realtà”, Intervista con il regista Gianfranco Pannone
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Durante il Festival dei Popoli, Gianfranco Pannone, regista del docufilm “Qui è Altrove: Buchi nella Realtà”, ha condiviso dettagli significativi sul suo lavoro che esplora la vita all’interno del carcere di Volterra e l’importanza del teatro come strumento di espressione e liberazione.
Il progetto è stato alimentato da una lunga amicizia con Armando Punzo e Cinzia De Felice, fondatori della Compagnia della Fortezza. Pannone ha descritto come il teatro di Punzo abbia avuto un profondo impatto su di lui, ispirandolo a documentare l’esperienza di chi partecipa a questo progetto, in un’ottica di esplorazione e comprensione reciproca. L’idea di raccontare storie all’interno del carcere di Volterra è iniziata con un approccio osservativo, permettendo al regista di mantenere uno sguardo aperto e curioso sulle vite dei detenuti, senza pregiudizi.
Il carcere di Volterra ha fornito a Pannone un forte impatto emotivo, soprattutto nei momenti di silenzio, che comunicano molto di più delle parole. In particolare, ha notato una sensazione di vuoto e solitudine, contrastata dal calore del sole che entra nel carcere. Il titolo “Qui è Altrove: Buchi nella Realtà” riassume perfettamente il tema centrale del documentario, evidenziando la ricerca di libertà, sia fisica che mentale. Pannone ha sottolineato che, attraverso il teatro, si crea una possibilità di evasione, una modalità per reinterpretare la propria vita e per affrontare la condizione di detenzione.
Una parte cruciale del film è il modo in cui il regista ha catturato la fisicità delle persone coinvolte. Non ha voluto limitarsi a raccontare le storie dei detenuti, ma ha cercato di utilizzare i loro volti e i loro movimenti come strumenti narrativi per esprimere l’intensità delle loro emozioni. Pannone ha affermato che l’espressione fisica dei detenuti può comunicare molte verità, rivelando anche la fatica e le complessità delle loro vite. Questo approccio ha permesso di mostrare l’umanità di ognuno, rendendo il film un importante atto di sensibilizzazione.
Il regista ha inoltre enfatizzato il suo desiderio di affrontare problemi significativi e urgenti, come la dignità degli individui all’interno del sistema carcerario. Con il suo film, Pannone intende far riflettere sugli aspetti umani della detenzione, ponendo l’accento sulla necessità di vedere i detenuti non come vittime o statistiche, ma come persone con storie e potenzialità.
In conclusione, il lavoro di Gianfranco Pannone mira a offrire una visione diversa della condizione carceraria, utilizzando il teatro come strumento di liberazione e rinnovamento. Pannone si propone non solo di documentare una realtà, ma anche di stimolare un dialogo su questioni fondamentali per la società, cercando di ispirare un cambiamento di percezione verso il mondo del carcere e dei suoi abitanti.
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Il progetto è stato alimentato da una lunga amicizia con Armando Punzo e Cinzia De Felice, fondatori della Compagnia della Fortezza. Pannone ha descritto come il teatro di Punzo abbia avuto un profondo impatto su di lui, ispirandolo a documentare l’esperienza di chi partecipa a questo progetto, in un’ottica di esplorazione e comprensione reciproca. L’idea di raccontare storie all’interno del carcere di Volterra è iniziata con un approccio osservativo, permettendo al regista di mantenere uno sguardo aperto e curioso sulle vite dei detenuti, senza pregiudizi.
Il carcere di Volterra ha fornito a Pannone un forte impatto emotivo, soprattutto nei momenti di silenzio, che comunicano molto di più delle parole. In particolare, ha notato una sensazione di vuoto e solitudine, contrastata dal calore del sole che entra nel carcere. Il titolo “Qui è Altrove: Buchi nella Realtà” riassume perfettamente il tema centrale del documentario, evidenziando la ricerca di libertà, sia fisica che mentale. Pannone ha sottolineato che, attraverso il teatro, si crea una possibilità di evasione, una modalità per reinterpretare la propria vita e per affrontare la condizione di detenzione.
Una parte cruciale del film è il modo in cui il regista ha catturato la fisicità delle persone coinvolte. Non ha voluto limitarsi a raccontare le storie dei detenuti, ma ha cercato di utilizzare i loro volti e i loro movimenti come strumenti narrativi per esprimere l’intensità delle loro emozioni. Pannone ha affermato che l’espressione fisica dei detenuti può comunicare molte verità, rivelando anche la fatica e le complessità delle loro vite. Questo approccio ha permesso di mostrare l’umanità di ognuno, rendendo il film un importante atto di sensibilizzazione.
Il regista ha inoltre enfatizzato il suo desiderio di affrontare problemi significativi e urgenti, come la dignità degli individui all’interno del sistema carcerario. Con il suo film, Pannone intende far riflettere sugli aspetti umani della detenzione, ponendo l’accento sulla necessità di vedere i detenuti non come vittime o statistiche, ma come persone con storie e potenzialità.
In conclusione, il lavoro di Gianfranco Pannone mira a offrire una visione diversa della condizione carceraria, utilizzando il teatro come strumento di liberazione e rinnovamento. Pannone si propone non solo di documentare una realtà, ma anche di stimolare un dialogo su questioni fondamentali per la società, cercando di ispirare un cambiamento di percezione verso il mondo del carcere e dei suoi abitanti.
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